lunedì 23 maggio 2011

Milano, Italia 28.12.2006 ore 10:00

La strada era abbastanza larga, doppio senso di marcia con possibilità di imbocco alla tangenziale, strade parallele per eventuali cambi di programma improvvisi dettati dalla paura. Davanti al Credito Romagnolo vi era una sola Guardia Giurata, stanca,  appoggiata con una spalla alla noia, la sigaretta accesa e la canna della pistola che probabilmente non vedeva la luce da qualche mese, in letargo nella fondina. Lo sguardo di quell’uomo in divisa blu era perso nel vuoto, sembrava lo sguardo di un cieco. Era la banca giusta, penso’. Lo slavo entrò, prese il numero 32 ed in attesa di essere chiamato allo sportello cominciò a guardarsi intorno. Le casse erano basse, vecchi tavoli anni 90, facilmente scavalcabili con un balzo da felino rabbioso. I dipendenti avevano tutti una certa età, tutta gente con esperienza, tutta gente che probabilmente aveva qualcuno che lo aspettasse a casa. E' tutto assicurato e nessuno dei dipendenti, compreso il Direttore è disposto a farsi ammazzare per dei soldi non suoi e che per di più nel giro di un mese rientrano dalla porta principale con un bel fiocchetto rosso. I soldi venivano riposti in dei cassetti alla sinistra dei cassieri, i pezzi grossi messi nel doppio fondo del cassetto, i pezzi rossi, blu e rosa in bella vista. Le via di fuga non erano un problema, la guardia giurata presa da ostaggio e portata dentro avrebbe aperto le porte d’uscita. Arrivò il momento di recarsi allo sportello, “32” apparve sul display. Alla cassa n.3 c’era un uomo di mezza età, ben vestito, che con un bel sorriso chiese come poteva essere utile. Lo slavo chiese indicazioni per un possibile prestito, rimanendo sul vago, cercando di scorgere un pulsante, un sensore, qualcosa che servisse ad indicare agli sbirri la ‘rapina in corso’. Nulla di visibile. Il cassiere lo indirizzò verso gli operatori all’interno dell’Istituto, ma si era fatto tardi e  lo slavo disse che sarebbe ripassato nel pomeriggio. All’improvviso la guardia giurata aprì manualmente le porte, disattivando l’allarme, apparentemente in maniera inspiegabile, fece entrare indisturbato il ragazzo del bar con in mano un cabaret di cappuccini e caffè.  Il ragazzo di circa 18 anni entrò e saluto tutti, e tutti lo salutarono. Si chiamava Stefano così l’aveva salutato il Direttore che si prese il suo buon caffè di tarda mattina nel bel mezzo del corridoio e ripose la tazzina sul vassoio che il giovane teneva in mano. Il ragazzo posò le consumazioni su un tavolino di legno, riprese le tazzine sporche del precedente giro di caffè e  con il cabaret in mano uscì da dove era entrato, salutando tutti con dimestichezza e confidenza, salutò anche la guardia giurata con un sorriso. Lo slavo aveva assistito a tutta la scena mentre faceva finta di leggere uno di quei poster appesi sulle colonne delle banche dove ti spiegano perché conviene pagare a rate anche l’aria che respiri. Capì che aveva assistito alla scena che scombinava tutti i piani. Si, era la banca giusta. Uscì subito, e si diresse nel locale a fianco.

martedì 17 maggio 2011

Tijuana , Mexico 24.12.2006 ore 23:30 locali

Non aveva capito se fossero stati in due o in duecento, aveva capito solo che nessuno tranne lui era rimasto vivo e che era stato “fregato”. Sentiva solo che nel buio nulla era più forte del suo respiro, rigido e tremante sudava freddo sopra la culatta della  pistola  rovente che stringeva senza dolore. Si mischiava al piombo l’odore marcio della sua "Beretta". Cominciò a piangere, non avrebbe voluto morire così, ma il proiettile che gli aveva perforato il polmone, lentamente, in silenzio, stava per sentenziare la condanna come una giuria inesorabile. Non potè fare a meno  di ringraziare sua madre, di regalarle l’ultimo sofferto sorriso a denti stretti e di abbracciare i suoi amici fraterni che non avrebbe mai più rivisto, se non nel buco del culo dell’inferno. Era solo, al buio, pensò in quel momento che in fondo non era stato un cattivo uomo e che quello, in fondo, era un giusto prezzo per un figlio di puttana come lui. In fondo fin da piccolo aveva sognato una morte così. Quando la bestia nera è li seduta accanto a te che ti guarda senza sguardo, in attesa del tuo ultimo alito, forse è vero che la tua vita ti attraversa le vene.
Fuori intanto, le macchine parcheggiate aspettavano invano. Non avrebbero mai più condiviso neanche un secondo con le chiappe di quei bastardi. Anche da morti, trivellati dai calibro 9, facevano paura. Certe facce non le incontri al supermercato mentre scelgono la cena,  certe facce le trovi in qualche lurido bar di Tijuana o massacrate per terra,  più vive di tanti vivi. Certe facce da morte o da vive non cambiano espressione.
Quel Natale però non fu come gli altri, nessuno era stato con le proprie famiglie o con le proprie puttane, la lepre era uscita dalla tana e bisognava prenderla. Quel Natale lo avrebbero ricordato in molti, in troppi forse. Quel Natale avrebbe puzzato più dei loro cadaveri per molti anni ancora. Era la notte di Natale ed erano tutti morti, o quasi. Era la Notte di Natale ed ognuno aveva ricevuto il suo dono di piombo. Era la notte di Natale e solo il vento che si scioglieva tra gli alberi aveva il coraggio di fiatare.

lunedì 16 maggio 2011

Oggi, una cella in carcere.

La notte in carcere ha il rumore di schiaffi dati al muro per cercare di uccidere una zanzara, ha il rumore di accendino scarico che singhiozza per dar vita all'ennesima sigaretta. La notte in carcere senti le urla improvvise dell'incubo di un altro e sai che quell'urlo è anche il tuo.
I passi trascinati di una guardia si mischiano alla voce roca dei fantasmi che ti schiacciano la testa, che sentenziano, angosciano, colpiscono allo stomaco e si aggrappano al fegato cercando di strappartelo. La puzza del silenzio ti entra nel naso e ti stordisce di paura. E la mente va...